Passa ai contenuti principali

La bidella di Vigonza

È una storia di qualche anno fa che pare di ieri, anzi di oggi, e me l'ha fatta tornare in mente il fecondo parto del giornalista che ha scritto il commovente racconto della bidella che vive sul treno.

Abbiamo 18 ore da coprire nel profilo dei collaboratori scolastici, collocate nei giorni più critici - mercoledì giovedì e sabato - e cominciamo a chiamare dalla graduatoria. La signora che risponde all’appello assume servizio il sabato mattina. La sua residenza è a 600 chilometri, ma conosce qualcuno da queste parti che l’aiuterà a sistemarsi. Purtroppo, però, il mercoledì successivo telefona che le si è ammalato il bambino e perciò oggi e domani starà a casa (D. Lgs. 151/2001, Disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità). C’è il certificato di un pediatra. Il sabato telefona di essere ammalata. Alla scuola arriva il certificato telematico della guardia medica, che non si sbilancia («riferita colica addominale»). Il medico avrà forse detto: «Stiamo a vedere», perché la prognosi è di un solo giorno. La scuola chiede all’Asl di competenza la visita fiscale, che non sarà eseguita.

Il mercoledì successivo la signora telefona che il bambino sta male e perciò oggi e domani starà di nuovo a casa. Stando al certificato del medesimo pediatra, il bambino è guarito dalla faringite ma ora ha l’influenza. Il sabato la signora è di nuovo malata. Alla scuola arriva il certificato telematico della guardia medica: prognosi di un giorno. La scuola chiede all’Asl di competenza la visita fiscale, che sarà eseguita il lunedì: il medico non troverà la signora in casa, ma una parente che dichiarerà che solo il sabato era ammalata…

Il mercoledì successivo la signora telefona che il bambino non si sente bene e perciò oggi e domani starà a casa. Il solito pediatra sarà stato sorpreso di vedere il bambino, perché stavolta non gli trova nulla; forse convinto che, al di là della malattia, è bene in generale che i bambini stiano con le mamme, le fa un certificato di due giorni dichiarando solo che il bambino ha bisogno di assistenza materna. Il sabato, la guardia medica deve ritenere invece che il caso si è fatto serio, perché stavolta di giorni gliene dà due. La scuola chiede all’Asl di competenza la visita fiscale, che però non sarà eseguita.

Il mercoledì successivo il bambino è “ammalato”. Il sabato è ammalata lei, prognosi di un giorno. La scuola chiede la visita fiscale, che non sarà eseguita. È passato un mese; la signora non ha fatto un’ora di servizio a scuola, a parte il giorno di arrivo. Il Dirigente telefona. La signora è collaborativa, spiega che non sa a chi lasciare il bambino, perché la parente che doveva prendersene cura si è infortunata proprio in uno dei giorni compresi fra quello in cui ha preso servizio e il successivo in cui doveva lavorare. Il Dirigente spiega che sta mettendo in difficoltà la scuola: da un mese c’è una persona in meno per le pulizie e l’assistenza ai bambini. E lei: «La mia situazione è questa, non sono in condizioni di prendere alcun impegno». Pareva al Dirigente - ma chiaro che si sbagliava - che un impegno fosse stato preso, il giorno in cui lei, aspirante a supplenza, accettava l’incarico proposto. Le propone dunque di recedere da un contratto che non sente neppure impegnativo: la scuola potrà così cercare un’altra persona. Ma la signora dice che non ha alcuna intenzione: «Io un giorno voglio fare questo lavoro e in questo modo accumulo punteggio».

Oltre al punteggio, la signora riceve anche lo stipendio: l’uno e l’altro pur non lavorando mai. Santa ingenuità, mi suggerisce di cercare un supplente. Come se fosse possibile convocare il sabato mattina, per un giorno solo e per di più lo stesso, come se ci si potesse permettere di distaccare un impiegato il mercoledì a cercare disperatamente qualcuno, che sarà titolare di un contratto che durerà soltanto il giorno successivo, e così di nuovo ogni settimana perché il titolare “non può assumere nessun impegno”, mentre noi avremmo bisogno e disponibilità per tre giorni la settimana, per l’intero anno.

Il mercoledì successivo il bambino necessita per due giorni dell’assistenza della mamma. Il sabato la signora va alla guardia medica e ottiene un giorno di prognosi. La scuola chiede all’Asl di competenza la visita fiscale, che di nuovo sarà eseguita due giorni dopo e il medico stavolta dichiarerà, con notevole fantasia, che a quella data la paziente aveva ormai ripreso il lavoro. Il ritornello si ripete per altri due mesi.

Un sabato mattina, di fronte all’ennesimo certificato medico di un giorno, la comprensione per l’imprevisto della parente infortunata che doveva tenere il bambino cede alla presunzione di evidenza di una persona che non ha mai lavorato e non sembra in alcun modo intenzionata a farlo, con l’incolpevole complicità di istituti giuridici sacrosanti e retribuiti (100% i primi 30 giorni, 30% gli altri).

«Buongiorno, signora, come va la salute? - Eh, ho avuto delle coliche, stanotte, una specie… - Delle coliche? E dove si trovava, signora? - Eh, qui a casa mia… - A casa sua, signora? E che ci faceva, a casa sua? Come faceva a stare a casa sua stanotte, se stamattina alle otto doveva essere qui?» La signora capisce che si sta ventilando un’ipotesi di truffa. Minaccia di registrare la telefonata, di rivolgersi al sindacato. Lo farà, e troverà qualcuno che le suggerirà di chiedere almeno un periodo lungo di congedo parentale, in modo che la scuola possa cercare un sostituto con qualche chance di trovarlo. Vicino alla scadere del “periodo lungo” (un mese), viene contattata dall’impiegata della scuola per conoscerne le intenzioni e non perdere - possibilmente - il supplente che abbiamo impiegato due settimane a trovare. La signora dice che, per venirci incontro, può chiedere altre due settimane.

E poi? - Poi ha detto che produrrà certificati di malattia del bambino… Neo Cassandra, vede nel futuro che il suo bambino si ammalerà. Niente da dire, è una vera sfiga.

Commenti

Post popolari in questo blog

A(r)mare il cane

Casuale e interessante chiacchierata con l’istruttore. Il cane è saltato fuori dal recinto, andando a azzannare un suo simile di passaggio, al guinzaglio di una coppia. Mi racconta il suo intervento risolutivo, fra il terrore dei proprietari dell’animale aggredito e la paralisi della ragazza che aveva affidato il cane aggressore, immobilizzata nel corpo a parte l’inutile voce: “Lascialo, lascialo!”. L’intervento risolutivo si è svolto in due fasi: pugno sul naso senza effetto, apertura della bocca del cane a mani nude. “Sapevo di rischiare, non si conosce mai il livello di adrenalina che ha in corpo un cane che azzanna. Poteva mordermi le mani, o mollare la preda e attaccarmi il braccio o anche voltarsi contro di me. Ma in quel momento ero lì e mi son sentito di intervenire in quel modo”.   Aggiunge: “Non succede quasi mai di scoprire che un cane che ha attaccato fosse solito farlo. La prima volta non ha precedenti, prima di un episodio aggressivo questi animali sono usualmente inoffe

La colpa, la pena

Doveva essere scontato che la scuola dove è avvenuta l’aggressione a colpi di pallini all’insegnante da parte di uno studente di prima classe, con successiva diffusione del video che riprendeva la scena, avesse preso molto sul serio la cosa.  Doveva essere scontato, perché il caso era serio: perché, di principio, il danno riportato dalla docente poteva essere molto grave, ma soprattutto perché, come dato di fatto, l’azione ha espresso lo scavalcamento di limiti auspicabilmente invalicabili (l’incolumità personale, il rispetto per l’adulto, il ruolo dell’istiituzione)  e perché la scuola è un luogo in cui si educa e la reazione al cattivo esempio condiziona il proseguimento della relazione. Doveva essere scontato che il caso serio fosse stato trattato come richiede il rispetto dello norme chiamate in causa: dal regolamento disciplinare dell’Istituto alla legislazione penale, nella considerazione della minore età degli autori e relative garanzie. (Comprensibilmente, solo i tecnici che ci