Io mi sono iscritta al concorso per dirigente scolastico con spirito di rassegnazione: se andrà, lo avrà voluto il destino. Non se andrà bene: il destino, del bene o del male, se ne frega. È per questo che io sono così distante da chi ha scelto la strada che ha portato al recentissimo concorso riservato: il destino, mica puoi pensare di portarlo in tribunale.
Io non avrei mai superato le preselettive dei concorsi successivi al mio - quelle che almeno qualcuno ha fatto, accanto a chi ha potuto barattarci la 104 personale. Cento quesiti in cento minuti non è fidarsi del destino, è sudore da telequiz, è competizione. Io non sono una persona competitiva. Destino è compilare puntigliosamente una domanda di partecipazione in cui ti si chiede per quanti giorni sei stato collaboratore del dirigente prima del 2000 e per quanti dopo, e stare a vedere che risultato esce.
È uscito che son finita tra gli ultimi ammessi agli scritti, zona poco sopra il truppone del tappo a pari merito e qualcuno a scuola si congratulava come se avessi compiuto un’impresa di valore - cosa che mi stupiva allora ma oggi, visto come arrivano compilate certe domande, poteva anche essere. Il destino si era però manifestato, ora toccava a me. Abbiamo sempre giocato così, io e lui: un colpo per uno.
Io comprai dunque un libro, usato, al prezzo di un euro: aveva la copertina rossa, il titolo non lo ricordo e costava così poco perché i saggi che conteneva facevano tutti capo al dibattito sulla scuola di una stagione precedente. Lo lessi con curiosità e interesse - io stavo al liceo classico, un posto abbastanza riparato dalle novità e in cui il dibattito di una stagione precedente era comunque troppo recente per essere considerato.
E poi, il destino mi fece trovare in Internet il sito di una scuola materna di Napoli in cui le maestre avevano fatto un orto coi bambini, raccontato sotto forma di progetto, che produceva perfino un risultato, tipo cresceva qualcosa, oppure i bambini dovevano raccontare la sequenza delle fasi: buchino in terra, messo un semino, coperto, annaffiato: spunta uno stelo con una fogliolina.
Propriamente, quel progetto fu uno scherzo del destino; poi, quando è stato troppo tardi, progetti così non ne ho visti più, io sempre a chiedere che ricaduta ci aspettiamo, come si misura e tutti sempre a dire: Ma, Preside, è così bello!!!
Ho messo alla prova il destino entrambi i giorni degli scritti, prendendo il secondo dei due treni regionali, che teoricamente mi permettevano ambedue di arrivare prima dell’estrazione della prova e della chiusura delle porte. I regionali, per due giorni, spaccarono il minuto.
Il giorno della prima prova mi sovvenne un violento déjà-vu degli scritti del concorso docenti (io ne ho fatti tante, tutte le discipline per ogni classe di concorso, quattro scritti di italiano, fra scritti e orali c’era tutto il programma…), ma lì eravamo giovani, quasi tutti neolaureati, venti/trent’anni, il fiore della vita professionale al suo schiudersi… All’orale della A050 di allora mi son portata mia figlia da allattare… Allo scritto del concorso per Dirigente Scolastico c’era gente che allineava sul banco la pillola per la pressione delle dieci, quella per il cuore a mezzogiorno, per il colesterolo alle tre, se ancora non avessi terminato…. Il treno era stato in orario ma, come dice Monica Bellucci: “Che futuro ci aspetta?”.
Un sacco di gente che era nella mia aula, con il cognome che iniziava per V o Z, passò lo scritto; forse avere il cognome che inizia per V o Z è correlato a un maggiore capacità di superare due prove scritte in un concorso per dirigente scolastico, oppure fu l’angelo della morte, delegato del destino, che scese a contrassegnare con la X la porta: “Questi dentro tutti, tanto dureranno poco”. E infatti oggi qui, di quell’aula e di quelle altre, di noi che cominciammo a Padova come dirigenti delle scuole superiori l’1 settembre 2007, solo io ancora sopravvivo.
Comprai un secondo libro, questa volta nuovo e aggiornato, più che altro per un senso di riguardo ai caduti, che avevano pagato corsi e studiato mesi e anni e non ce l’avevano fatta. Dovetti anche questa volta accontentarmi di scarti, perché la commessa di Feltrinelli mi spiegò che quei libri lì non avevano più mercato, avevano venduto tutto; ne era rimasto uno, verde.
Il giorno dell’orale chiesi un permesso la sesta ora e alle 15.00 ero di fronte alla scuola. Non avevo seguito gli orali, non li avevo fatti seguire, sapevo di dover parlare rivolgendomi dritta alla Presidente; così credetti di fare, ma la Presidente non era quella, era l’altra, di fianco, che non degnai d’uno sguardo e se la legò di sicuro al dito: non son riusciti a bocciarmi - era destino - ma mi hanno dato il minimo punteggio possibile.
Così, quando esce la graduatoria, ci sono venticinque posti e io sono venticinquesima.
Le sedi libere in città per i vincitori di concorso sono tre: Marchesi, Cornaro, Natta. Il Marchesi, tecnicamente, non è ancora perfettamente libero, il Natta lo è saldamente, perché la dirigente è perfettamente morta da qualche settimana. Noi eravamo sette e io sceglievo per ultima.
Fu scelto il Marchesi, poi il Cornaro e poi Piazzola, Monselice, Abano, Cittadella,… il Natta era a un chilometro e mezzo da casa mia. E adesso ditemi che il destino non esiste.
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