Stende la mano un po’ tremante verso quella del Presidente, che gli porge con sorriso confidente il foglio con lo spunto di avvio del colloquio. Lui considera cosa lo aspetta, e fa partire il razzo di uscita.
Imbocca una scorciatoia, nota da anni, che consente di superare l’esame anche prima dell’orale, perché il punteggio minimo complessivo di sessanta centesimi è già raggiunto sommando gli esiti delle prove scritte e i crediti. Pur in assenza sostanziale del colloquio, è attribuito inoltre il punteggio minimo della prestazione gravemente insufficiente - tre. Si potrebbe sistemarla questa cosa, si potrebbe scrivere che l’esame si compone di due scritti e un colloquio ma, se il punteggio minimo è già raggiunto con gli scritti, l’orale è facoltativo. A me questa soluzione piacerebbe moltissimo, avendo anche quest’anno contribuito a diplomare studenti dopo colloqui surreali sui quali, ormai, i comici son più bravi a raccontare dei presidenti di commissione.
Va detto che il comportamento del nostro giovane, raro per la sede in cui si è manifestato, non è, nella sostanza, difforme da quello degli studenti che ogni fine anno fanno due conti e, se la media dei voti è sufficiente, saltano gli ultimi compiti nel timore di rovinarsela (perché la media è il porto sicurissimo della scuola italiana, da cui nessuno oserà buttarti a mare se è almeno “sei”). Sono studenti che considerano un buon compromesso rinunciare a qualche punto (in ogni caso, pochi) in cambio di uno sconto di pena.
Dell’essere in carne e ossa che a questa vicenda ha, senza volerlo, sacrificato il nome e il volto - due dati personali non secondari -, esiste un’intervista televisiva: in un italiano incerto, con molti vuoti e poche idee confuse, il ragazzo si difende, come può, dal turbine che ha inconsapevolmente sollevato: dice di essere “un po’ contrario all’Esame in sé”, di avere fatto una scelta “anche magari sbagliata”, perché “io alla fine non voglio andare contro a tutte e tutti”.
Prova anche a tenere la parte che gli è stata appiccicata addosso, ma si muove male, non riesce a sviluppare il ragionamento perché non ha gli argomenti per farlo. È un’immagine lontanissima dal personaggio creato sulla stampa, a cui si sono appassionati in migliaia, molto più vicina ai ragazzi che incontriamo nelle commissioni: un po’ troppo superficiali, un po’ troppo convinti che qualunque cosa possa essere un’opinione e di essere titolari del diritto di enunciarla.
A volergli bene, era da sussurrargli che le scelte si fanno, non si prendono, che il paragone tra ripetere un anno e sostenere un esame sulla base di quanto si impara è un po’ azzardato, che se tutti gli altri hanno fatto il colloquio forse non è per moda, ma perché parte di una procedura alla quale pure lui si era iscritto, firmando una domanda e pagando una tassa. A volergli bene, era da dirgli: Ok, quella cosa lì l’hai fatta, un giorno ti sarà più chiaro, ma adesso bisogna che torni a studiare.
Perché, se non possiedi gli strumenti con cui proporre e difendere le tue tesi, ti tocca accettare che chiunque - il giornalista l’insegnante il preside il pedagogista il pincopallino, nessuno dei quali ti conosce, come tu non conosci nessuno di loro - decida per te cosa intendevi, anzi, decida che, di quello che intendevi tu, non gli importa proprio.
E così, a partire dall’esordio teatrale (“Signori grazie di tutto, ma io questo colloquio di maturità non lo voglio sostenere. Arrivederci”), alle migliaia di socialcoristi in giubilo per il coraggio, la lucidità, la determinazione, la dimostrazione di maturità da 100 e lode (con l’ovvio rovescio degli indignati perché rifiutare una prova con il diploma già in tasca è furbizia e non protesta, oppure è fuga o arroganza), all’interpretazione autentica: “Con il suo gesto di sfida ha voluto esprimere la sua protesta contro il sistema di valutazione scolastico”, ecco che una quantità di adulti (alcuni molto titolati) si sono affrettati a prestare il lessico, la sintassi, gli argomenti giusti, soprattutto le loro intenzioni. Tolto ogni margine di incertezza (già, chissà cosa è successo a quel ragazzo per davvero, quella mattina…), finalmente ridotto a paladino o scioperato - ma tutto d’un pezzo e definitivo, come il voto finale che pareva di voler mettere in discussione -, così tirato a lucido, adesso, sì, che sta bene sulle loro bandiere.
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