Luca Serianni, autore di una delle più belle grammatiche che siano entrate nella scuola italiana negli ultimi trent’anni, in un’intervista a “La Repubblica” del 18 scorso spiega come intende procedere, da consulente del Ministero, per rimediare al problema che, dopo ben tredici anni di scuola, troppi studenti italiani esprimono, in un italiano scarso e cattivo, contenuti male o per niente strutturati.
Il professore ha ben chiara la leva su cui far forza perché le proposte della task force che va a presiedere siano accolte dalla riottosa scuola italiana: si va a cambiare l’Esame di Stato, le cui richieste orientano retroattivamente, vincolandola, la programmazione dell’ultimo anno e magari anche di molti o tutti i precedenti.
Per concludere il percorso di studi, infatti, è l’Esame che lo studente deve sostenere e bisogna metterlo in condizione di superarlo nel modo migliore: obiettivo che l’addestramento, l’allenamento, l’insegnamento del periodo precedente necessariamente si piegano a perseguire.
Per l’Esame di Stato, la proposta di Serianni è radicale: facciamogli scrivere un riassunto e non più un tema.
E da varie parti subito si leva il lamento di puristi, conservatori e ingenui, scandalizzati dal fatto di privare lo studente dell’opportunità di fornire una prova veramente matura, in cui costruire e esprimere il proprio personale ragionamento, dando prova del senso critico acquisito nel percorso scolastico.
Lamentano la grave perdita, sottolineando la differenza tra il riassunto e il tema: lì le idee sono di qualcun altro e tu ne devi solo individuare e riproporre la gerarchia, e più asciutto scrivi e meglio è, qui sei autore di un’argomentazione di cui decidi articolazione, ampiezza, stile: con la lingua esprimi te stesso, le cose che senti, le considerazioni personali che hai ricavato, riflettendo e documentandoti.
Peccato che puristi, conservatori e ingenui, di temi dei nostri studenti debbano, e da gran numero di anni, averne letto gran pochi. La grandissima massa degli studenti italiani produce, sotto quel nome abusato, nulla più che un'infilata di luoghi comuni, di cui talvolta è persino impossibile fare il riassunto, tale la superficialità di dichiarazioni per lo più presuntuose, ma a cui non si ritiene necessario fornire alcun fondamento.
Ben venga dunque l’esercizio ancillare e umile del riassunto che, cercando le priorità del discorso altrui, abitua a capirne l’importanza e a farne costume anche proprio.
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