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Chiamata diretta

Paradosso apparente nell’attuale momento politico, in cui la maggioranza degli italiani ha votato per un governo che si dice “del cambiamento” è che da più parti stia venendo rabbiosamente azzannata la cosiddetta “chiamata diretta” degli insegnanti: cambiamento reale, benché timido, nella procedura di assegnazione dei docenti di ruolo alle scuole.

Poiché non tutti gli azzannatori hanno la coscienza pulita, e seminano zizzania sul terreno fertile della disinformazione, par bene metter giù, per chi se ne volesse servire, qualche punto chiaro, preciso e indubitabile.

Nei due anni in cui è stata vigente, la chiamata diretta non ha alterato granché il panorama nazionale dell’attribuzione dei docenti agli Istituti. È dunque il principio a essere percepito come eversivo: l’abbandono del ricorso a “graduatorie”, istituite a prescindere, nella nomina dei nuovi docenti nelle scuole. La faziosità politico-mediatica fa coincidere questo abbandono con la consegna di una delega in bianco al capriccio del Dirigente scolastico. 

Quali le proporzioni del fenomeno? La chiamata diretta riguarda esclusivamente i nuovi assunti in ruolo per l’a.s. scolastico successivo, iscritti nella ripartizione geografica (“ambito territoriale”) a cui appartiene la scuola: non tocca in nessun modo i cosiddetti “precari” (i supplenti), che continuano a venire nominati con il consolidato sistema delle “graduatorie”. Nessun Dirigente scolastico, cioè, ha il potere di alzare il telefono e chiamare il figlio proprio, del vicino, dell’amico per assegnargli una supplenza nel proprio istituto.

I neoimmessi in ruolo titolari di precedenze (per esempio, il godimento dei benefici della legge 104) sono comunque esclusi dalla chiamata diretta, perché hanno diritto di scegliere, e per primi, la scuola dove vogliono andare.

Ci sono poi “chiamate dirette” meramente formali, quando i docenti iscritti nell’ambito sono tanti quanti, o addirittura meno, dei posti disponibili, che si trovano tutti in un unico Istituto.

Negli altri casi, secondo la senatrice Bianca Laura Granato, prima firmataria del disegno di legge per l’abolizione della chiamata diretta, i neoimmessi in ruolo, per venire "scelti", sono costretti a dipendere dal rapporto personale instaurato con il dirigente scolastico e dall’esercizio dell’arbitrio di quest’ultimo

Senonché il dirigente scolastico, nell’esercizio della chiamata diretta, non procede affatto a suo arbitrio, perché è tenuto a rispettare - dandone conto - i criteri di scelta stabiliti dal Collegio dei Docenti, preventivamente resi pubblici. Sta scritto in documenti ufficiali, che la senatrice sarebbe meglio conoscesse.

Se il Collegio dei Docenti di una scuola a forte potere attrattivo sul personale (mica tutte lo sono, ci sono posti dove non vuole andare nessuno) ha stabilito che titolo preferenziale per il docente in arrivo è la conoscenza dell’inglese perché possa utilizzare la metodologia CLIL (obbligatoria in classe quinta, ma generalmente inapplicabile di fatto, per mancanza di competenza linguistica del personale in servizio), può accadere che, a essere chiamato, sia qualcuno magari giovane o con poca esperienza di insegnamento, ma in possesso di una certificazione linguistica di livello avanzato, mentre colui che sarebbe stato premiato dalla graduatoria convenzionale si vede soffiare il posto ambito. Serve qualcuno che abbia fatto esperienza di inclusione, che sappia insegnare l’italiano come seconda lingua, che sia in grado di fare didattica con le nuove tecnologie? Questo è il punto eversivo della chiamata diretta: arriva nella scuola chi è in grado di rispondere ai suoi bisogni.

La senatrice farebbe bene pure a fare un’indagine su quanti sono i docenti che hanno esercitato il diritto di opzione e, accettata una prima proposta, si sono poi tirati indietro perché ne avevano ricevuta un’altra che gradivano maggiormente. E quanti sono coloro che, non avendolo potuto fare perché senza alternative, hanno ottenuto di essere assegnati altrove in via almeno provvisoria - sovente a centinaia di chilometri di distanza -, buttando a mare di fatto tutto il lavoro svolto e lasciando vuote le scuole per occupare i cui posti avevano scelto di sostenere il concorso in quella Regione.
Se questo è dipendere dal rapporto personale instaurato con il dirigente scolastico e dall’esercizio dell’arbitrio di quest’ultimo, occorre forse provvedere anche a un disegno di legge che riformi la lingua italiana.

Possono esserci stati casi di abuso di potere da parte del Dirigente scolastico? Chiaramente sì, come pure di Collegi ignavi che avranno delegato totalmente al dirigente di turno un compito loro. Butteremo il bambino con l’acqua sporca?

Il punto è che la chiamata diretta mette al primo posto i bisogni della scuola e non potrà mai riconoscere titoli generici e del tutto estranei, che invece le graduatorie, tradizionalmente, contabilizzano: il servizio civile o militare, la presenza e il numero dei figli, condizioni particolari perfino incredibili (nella graduatoria di un mio lontano concorso, mi passò davanti un “orfano di guerra” nato negli anni ’60…). Graduatorie che mai potranno prevedere le specificità che servono a una scuola, perché al massimo del dettaglio possono contare quante lauree, master, specializzazioni, e mai giungere a un più alto livello di discriminazione. Ma una realtà scolastica a alto tasso di presenza di bambini di madrelingua cinese che se ne fa di un insegnante che arriva con un punteggio più alto perché ha un master in dirigenza scolastica, come quello che la senatrice vanta nel suo cv?

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