La prima parte di questa storia non dovrebbe interessare nessuno, perché è solo la cronaca di pochi minuti di una riunione ordinaria. Pure il seguito - che chi non c’era ha voluto lo stesso raccontare a una vasta platea, paga d’esser gabbata, non appassionerà chi sia minimamente infarinato di antropologia. Ma è storia vera e perciò si narra.
13 dicembre, Collegio Docenti; la dirigente scolastica propone agli insegnanti presenti - più di cento persone - alcune riflessioni a partire dalla sollecitazione, che già tempo arriva insistente alle scuole da alcune parti politiche e, da ultimo, dallo stesso Ministro dell’Istruzione, in favore dell’esposizione del presepe.
Fa un breve excursus dalla Costituzione ai Patti Lateranensi - in cui invano si cercherebbe pur la sola presenza del vocabolo “presepe”-, all’essenza del medesimo come memoriale della nascita del fondatore di un culto - che giustamente celebra chi vi si riconosce -, fino alla manifesta estraneità della scuola all’osservanza acritica di ogni tradizione in quanto tale, perché ciò ne negherebbe uno dei compiti fondamentali: l’educazione al pensiero critico. Conclude con una considerazione che avrebbe da esser banale ma, nella circostanza, suona paradosso: se Gesù fosse stato legato alla tradizione, sarebbe rimasto un Ebreo ortodosso e il Cristianesimo non ci sarebbe proprio.
Un sasso, gettato in uno stagno, determina un movimento: nasce un breve dibattito. Sta lì, davanti a tutti, il piccolo presepe di carta che, chissà quanti anni fa, era stato costruito a scuola e che la dirigente ha invitato a destinare alla collocazione ritenuta opportuna. Non lo farà lei stessa, quest’anno, turbata dalla strumentalizzazione che vuole costringere un messaggio dei più rivoluzionari in una decorazione natalizia.
Ciascuno che chiede la parola porge il suo contributo alla discussione e il Collegio si chiude, tuttavia, con mezz’ora di anticipo rispetto al previsto. Un docente si prende cura di collocare il presepe nel luogo consueto di tutti gli anni, vicino all’albero di Natale. Fine della prima parte.
Intermezzo: un vigliacco risentito, un povero stupido contatta un giornalista senza qualità professionali e gli racconta un’altra storia. Quello, affamato, risucchia il vomito della gola profonda e lo risputa in condimento d’inchiostro sulle colonne della stampa locale.
Seconda parte. Alle migliaia di lettori di un quotidiano locale è resa nota una via di mezzo tra scene da cartone animato, con la preside pazza che si mette sotto braccio il presepe e se lo porta via, mentre il corpo docente riesce a trattenere almeno l’albero, e una cronaca inventata in cui, a una polemica strisciante contro un divieto, fa seguito una bagarre in Collegio e infine gli insegnanti, uniti agli studenti, fanno muro e impongono l’esposizione del presepe.
Conclusione. Il problema serio è come garantire ai lettori la verità a cui hanno diritto, dal momento che si fidano del giornale che comprano. È impensabile per loro che un giornalista possa metter nero su bianco una vicenda senza avere controllato che sia andata così come ha scritto - non è forse questa una parte del suo lavoro? E non ha forse, sopra di sé, un direttore a assicurare che lo svolga come deve?
È impensabile perfino per Massimo Bitonci, Sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che dal suo profilo FB subito rilancia la “notizia”, attirando echi social in cui la Preside - idiota, comunista, testimone di Geova- viene ritenuta meritevole di licenziamento, trasferimento in Marocco, due calci in bocca, mentre improbabili siti nazionali plaudono alla “rivolta identitaria degli studenti”; è impensabile pure per il Ministro per la Famiglia, che dalle colonne del medesimo giornale si complimenta con i docenti e gli studenti.
Cari lettori, è impensabile, ma bisogna cominciare a pensarci. Qualche volta l’impensabile accade e vi fotte.
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