Racconta un’amica che, all’asilo, le suore la mandavano usualmente, insieme a due compagne grandicelle - ma sempre età da asilo era - per piccole commissioni nella dispensa al secondo piano, da cui la discesa avveniva regolarmente a cavalcioni del corrimano, il quale, in quanto particolarmente largo, una volta le ispirò un’impresa diversa: scendere standoci sopra lunga distesa, con solo le manine aggrappate al bordo. Scivolare fuori nel vuoto fu un attimo, il resto un convulso miracolo: non so perché non sono caduta, c’era, chissà, la statua della Madonna là vicino.
In questi giorni, la stampa pubblica la notizia che il caso del bambino di Milano, morto a scuola precipitando nella tromba delle scale, vede ora tre indagati, nelle persone di due insegnanti e una collaboratrice scolastica.
È cresciuto negli ultimi mesi, in Italia, l’allarme sulla insufficiente sicurezza nelle scuole, in parte suscitato da un interesse attivo dei dirigenti per la responsabilità che è loro in capo, anche per circostanze sulle quali nulla possono.
Ma il caso di Milano non fa realmente parte di questo scenario. Un bambino di sei anni, solo, forse di argento vivo oppure solo molto curioso, prima di tornare nella propria aula raggiunge il parapetto della scala avvicinando una sedia, cade nel vuoto, muore.
Si è discettato sui media e sui social di problemi strutturali (perché una classe prima non sta al piano terra?) oppure organizzativi (risorse insufficienti per assicurare una marcatura a bambino), come se la scuola (il luogo di lavoro, il luogo di ritrovo, il mondo) fosse un Truman show imperfetto, in cui ogni falla è superflua, opera di un responsabile incapace o distratto.
Chi fa della paura il proprio faro dice infatti che non si deve lasciare la mano mai, perché sempre può accadere la disgrazia, volendo salva l’illusione che ogni sciagura possa essere stornata per via di previsione e volontà.
Purtroppo, il più ampio teatro della vita mette in scena a volte personaggi da tragedia, che qualcuno è costretto a impersonare.
Toccata dal dio la persona che per ultima, con fiducia leggera, ha lasciato il bimbo andare solo, emblema per tutti che non siamo i padroni del nostro destino.
Persona sacra si sarebbe detto un tempo: improvvisamente e senza possibilità di ritorno allontanata dall’ordinario consorzio umano, segregata per sempre dai più a cui non è capitato e non capiterà mai di avere, per un attimo, il potere di decidere della vita e della morte e di esercitarlo, l’una e l’altra cosa a propria insaputa e contro la direzione della volontà, ignara. Esperienza troppo grave per l’essere umano, che non sopporta non tanto di portare la morte, quanto che ciò avvenga senza una propria determinazione.
Colpevole di non avere guardato a un bambino avendo davanti agli occhi tutto il male possibile.
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