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Pomeriggio della memoria

Nel bailamme di questi giorni per il caso di Palermo, mi torna alla memoria un’insegnante colta, generosa, gentile. Troppo rigida, si disse. Estrema, addirittura. Inflessibile. 
Ricordo il Collegio Docenti che acconsentì alla sospensione dall’insegnamento, in un clima di popolo arruffato che faceva torto a tutte la parti in causa.
Ricordo un gruppo di genitori che sbandieravano i plaid davanti ai giornalisti – i loro figlioli non frequentavano più le lezioni e uscivano dalla classe quando l’insegnante si presentava. Avvolti nelle coperte nel freddo delle mattine d’inverno, fingevano per i fotografi di studiare Tasso da soli, sulle panchine gelide della scuola, ciondolando poi in giro fino al suono della campanella.
Ricordo la mitezza suicida di lei, quando la esortai a mettere il suo zelo al servizio di miglior causa: “Ma io ho solo applicato le griglie di valutazione che abbiamo votato all’unanimità nel Dipartimento…”
Le griglie improvvide, compilate con riguardo al dover essere, che, una volta applicate al fenomeno, producevano inesorabilmente i due, i tre, i quattro; anche qualche otto, nove, dieci. Ma, soprattutto, uscivano voti bassi, troppo bassi: i nostri studenti erano così lontani dall’ideale, al filtro impietoso delle nostre griglie di studiosi. Lei pretendeva un passo indietro, e che fosse coscienza comune e palese degli insegnanti professionisti, che fosse guardarsi negli occhi e riconoscere che occorreva cambiare strada e convenire altri modi, altri criteri, altri giudizi. Lo chiedeva a chi, preso atto che così andava il mondo, senza parlarne a nessuno votava con la mano sul cuore che, a quelle condizioni, il voto del compito sarebbe stato un quattro! Invece poi ne usciva un sei meno meno e infine lo studente – qual incapace, qual maldisposto, qual francamente nullafacente – era promosso col sei. E lei questo non lo sopportava, incapace di consentire a se stessa l’ipocrisia della contraddizione.
In quel Collegio, su di lei si votò: non sul collega che si voltava dall’altra parte perché gli studenti potessero copiare durante le prove scritte, non su quello che metteva voti senza aver mai interrogato nessuno, non su chi, durante le ore di scuola, correggeva i compiti invece di far lezione: cose note a tutti, da anni. Lei, stretta nel suo rigore, si astenne dal votare per se stessa, in un passaggio che ne determinava il futuro professionale.

In quel Collegio intervenni a chiedere che, dal momento che al lavoro sul caso s’era messo in quei giorni un ispettore (solerte, indagatore, brutale), i genitori obbligassero i figli a togliere il bivacco che dovevamo attraversare ogni mattina per raggiungere le nostre classi e che gli studenti tornassero in aula. Che, pazienti, gli uni e gli altri attendessero che il procedimento facesse il suo corso, quello tracciato dalle regole che dovrebbero valere per tutti. Che ci togliessero dal collo il fiato pesante della minaccia che i giornali amplificavano, restituendoci alla quiete tormentata del mestiere difficile di educare.
Una quantità di adesioni al mio appello furono espresse in corso di seduta e di più forse si manifestarono al momento del voto, dove l’esito, che pareva scontato, fu raggiunto con un margine modesto di scarto.

Il giorno dopo fui convocata dal dirigente, che aveva indetto il Collegio perché deliberasse la sospensione, per essere informata che in quanto avevo detto poteva riconoscersi un oltraggio alla presidenza.
L'insegnante lasciò subito la scuola ed ebbe, di lì, a poco, il pensionamento per via conciliativa. 
Requiescat.



Commenti

  1. Forse ho letto male, o non ho capito: sospesa perché valutava gli elaborati degli studenti con voti troppo bassi?!? 😩

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